Secondo l’ultimo Labour Force Survey di Eurostat, l’Italia (ferma al 46,6%) è penultima, seconda solo a Malta (36,9%) e battuta di poco dalla Grecia (47,9%), sul poco onorevole podio del più basso tasso di occupazione femminile nel 2007 in Europa. Al contrario, in Danimarca più di tre donne su quattro lavorano (73.2%), così come in Svezia (71.8%), Olanda (69.6%) e Finlandia (68.5%).
Quanto al part-time, nel 2007 il 19,6% dei cittadini europei (uomini e donne) aveva questo tipo di contratto, particolarmente diffuso in Olanda (46,8%), Germania (26%), Gran Bretagna (25,5%) e Svezia (25%), mentre l’Italia è ferma al 13,6%. Ma se guardiamo la diffusione di questo tipo di contratto tra le sole donne, negli stessi paesi è la maniera pià diffusa per le donne di lavorare (rispettivamente il 75% delle donne che lavora ha un part-time in Olanda, il 45,8% in Germania, il 42,3% in Gran Bretagna e il 40% in Svezia). E in Italia? Siamo al 26,9% , mntre nell’Eurooa a 15 una donna su tre (35,1%) ha un lavoro flessibile. Vero è che il part-time in alcuni paesi è un’arma a doppio taglio, un tipo di contratto utilizzato in assenza della possibilità di lavorare a tempo pieno. E’ quello che si definisce il part-time involontario. Ma questo è un altro tema!
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