"Cos’hanno in comune telefoni cellulari, piccole macchine cittadine, acquisto della prima casa e beni di lusso? Risposta: le donne giapponesi". Questo l’incipit di uno studio rivoluzionario pubblicato da Kathy Matsui, analista della Goldman Sachs che dieci anni fa per prima elaborò una nuova teoria economica, quella del potenziale delle donne nell’economia di un Paese, e coniò il termine "womenomics". Poi ripreso e rilanciato due anni fa dall’Economist, al quale erroneamente spesso ne si attribuisce la paternità.
Il termine sintetizza in maniera efficace e "ad effetto" – così come un’altra espressione utilizzata sempre dalla geniale Matsui: "il potere della borsetta" (The power of the purse) – una teoria economica ben precisa e documentata. Maggiori tassi di occupazione femminile non solo non interferiscono con i tassi di fertilità (vedere anche il post: Tre domande a Daniela Del Boca, che ne parla) ma anzi hanno un effetto positivo sul prodotto interno lordo (pil) nazionale perché creano ricchezza, tramite un maggior reddito disponibile e quindi una maggior capacità di spesa, e garantiscono un progressivo miglioramento della situazione socio-economica delle singole famiglie, tramite una crescente grado di istruzione. Allora Matsui calcolò che in Giappone un incremento del lavoro femminile avrebbe potuto avere un effetto di 0,3 punti base sulla crescita tendenziale del pil (da 1,2 a 1,5%) e aumentare di quasi il 6% (5,8%) il reddito disponibile delle famiglie per i successivi 20 anni.
In attesa di riuscire a parlare con quella che considero un pilastro di questa nuova teoria economica (e una vera e propria Giovanna D’Arco dei nostri tempi, considerando che dieci anni fa l’idea di considerare le donne una risorse economica fu un’innovazione assoluta e suscitò pareri e reazioni molto contrastanti a livello politico in Giappone) ecco qui lo storico report e qualche dettaglio in più. Download womenomics2-pdf.pdf
L’analista di Goldma Sachs ha dimostrato in questo report del ’99, numeri alla mano, come in molti settori dove il pubblico di riferimento era femminile i tassi di crescita registrati siano stati molto superiori alla media del mercato. E come anche in nicchie considerate di appannaggio maschile – come i motori o le case – in realtà le donne erano diventate un acquirente importante.
Matsui avanzava quindi delle raccomandazioni di tipo economico e politico che sono lucide anticipazioni di tutto ciò di cui si discute ancora oggi, dieci anni dopo. Come: aumentare il tasso di natalità migliorano le infrastrutture per l’infanzia; introdurre un regime fiscale favorevole alle famiglie, un’ antesignano quoziente famigliare; facilitare la conciliazione dei tempi con un sistema di congedo parentale più efficace; incentivare l’avanzamento professionale delle donne e – qui davvero mi sorprende la sua lucidità e preveggenza – analizzare il tema della conflittualità tra donne nel mondo del lavoro, stimolando invece la loro collaborazione.
Alla fine dello studio aveva comparato l’andamento in Borsa delle compagnie con un’alta percentuale di impiegate donne a quello delle società dove l’occupazione femminile era invece ridotta, dimostrando come le prime avessero "fatto meglio delle seconde". E lo aveva concluso con un’altra epica frase che ancora oggi sembra rivoluzionaria: "buy the Female economy", ovvero consigliava agli investitori di credere e scommettere sulle società con forte presenza femminile.