Dal post di ieri sulla discriminazione professionale delle mamme si potrebbe quasi desumere che è dato di fatto perché quando una donna ha un figlio è normale che le sue priorità diventino altre. Io, parlo della mia esperienza personale, non sono d’accordo. E’ chiaro che la vita personale si arricchisce, ma questo non depaupera per forza quella in ufficio. Anzi.
Se solo 25 anni fa per le donne il binomio sembrava inconciliabile e la scelta di fatto un aut-aut, oggi non è più così. Ma perché la conciliazione non diventi un equilibrismo e non ci si trovi sempre in bilico, col fiato corto a dire “quasi quasi mollo tutto”, ci vogliono delle politiche di sostegno alla famiglia e all’occupazione femminile. Come diceva bene Mirella Visser di Pwn (vedi il post di qualche giorno fa ) non si tratta di "gentili concessioni" ma di strumenti necessari per far avanzare l’economia e sfruttare al meglio le risorse, di fronte ad un invecchiamento della popolazione, ad un basso tasso di natalità e ad una sempre maggior qualificazione delle donne. Ecco, vi ho riassunto in poche righe quello che penso e che ho sperimentato nei miei ultimi cinque anni di vita. E per un’argomentazione demografica della questione, vi rimando all’interessante articolo di Maria Letizia Tanturri su Neodomos dal titolo: Le pari opportunità fanno bene alla fecondità?