Senza entrare nel merito se sia opportuno chiedere un aumento di stipendio in periodo di "magra" per tutti, lo scatto retributivo del direttore generale della Rai, Lorenza Lei – che finora riceveva un compenso inferiore non solo al suo omologo predecessore ma anche ai suoi vice – riporta alla cronaca il problema del divario retributivo. Proprio pochi giorni fa una ricerca presentata al convegno della II Commissione Politiche del Lavoro e Sistemi Produttivi del Cnel, curata da Emiliano Rustichelli (Isfol), ha esaminato il caso italiano. Dalla ricerca, condotta su 10mila lavoratori e lavoratrici italiane, emerge che il differenziale retributivo di genere misurato sul salario orario dei soli lavoratori dipendenti è pari in media a 7,2 punti percentuali. Il gap retributivo per le lavoratrici dipendenti risulta particolarmente elevato in alcuni ambiti: tra le donne meno scolarizzate raggiunge quasi il 20% e si mantiene oltre il 15% per chi possiede la licenza media. Ne soffrono sia le giovanissime (8,3% di penalizzazione rispetto ai coetanei) che le lavoratrici adulte (12,1%), mentre è più contenuto nella fascia di età compresa tra 30 e 39 anni (3,2%). In sostanza a parità di qualifica e impiego, la differenza di retribuzione tra uomini e donne in Italia si attesta tra il 10 e il 18% ed è dovuta interamente a fenomeni di discriminazione.
I fattori che generano il gender pay gap sono diversi e spesso intercorrelati: fattori culturali e stereotipi di genere favoriscono la segregazione orizzontale e verticale e divaricano il gap di partecipazione al mercato del lavoro tra uomini e donne, la mancanza di politiche di conciliazione costringe le donne a uscire dal mercato del lavoro, ne impedisce la continuità lavorativa e limita le loro opportunità di carriera. Discriminazioni inaccettabili alla luce del fatto che le donne possiedono requisiti di formazione e di esperienza analoghi se non superiori a quelli degli uomini.