Una donna su quattro (22,7%) perde il posto di lavoro alla nascita del figlio. Solo il 77,3% delle neo mamme mantiene l'occupazione a due anni dal parto: dato in netto calo, secondo l'Istat, rispetto all'81,6% del 2006. E la percentuale di licenziamento sale al 23,8% dal 6,9% del 2002. Così mentre aumenta l'età media di vita della popolazione (79,4 per gli uomini, 84,5 per le donne), si abbassa il numero delle nascite, facendo dell'Italia un paese di vecchi. Nel 2011 sono nati 556 mila bimbi (-21 mila rispetto al 2008).Il numero medio di figli per donna è 1,42%: 2,07% per le straniere; 1,33% per le italiane. Questo il capitolo specifico all'interno del rapporto annuale Scarica Istat disuguaglianze
La mia reazione a questa ennesima conferma è duplice (e parlo da diretta interessata perché rientro anch'io in queste statistiche). Da un lato: cosa si intende per lavoro? Qui sono contratti formalizzati di lavoro subordinato o para-subordinato, ma quante altre modalità di lavoro ci sono ormai (e le mamme lo sanno bene)? In molto casi sono lavori diversi, con le modalità più flessibili e spesso se da un lato ci si sente "mamme acrobate" dall'altro è un nuovo modo 2.0 di intendere il lavoro – per obiettivi, in base ai propri tempi – che è percepito come ottimo compromesso dalle dirette interessate.
E poi se è chiaro che c'è una vera e propria "emorragia" di risorse nelle aziende, come fermarla? Come supportare il mondo produttivo a non perderle e a valorizzarle? Come combinare logiche di efficienza e produttività all'occupazione materna? Non ho riposte, sto testando entrambe sul campo tra mille difficoltà e qualche grande soddisfazione.