Con il senno di poi – di chi è stata in vacanza con tre figli e ha voluto "staccare" per un po' – vi ripropongo un interessante dibattito sull'occupazione femminile. Una riflessione da assaporare e sulla quale riflettere con calma, durante il periodo estivo. Incominciato con un articolo dal titolo provocatorio: "Why Women Still Can’t Have It All" scritto da Anne-Marie Slaughter, professoressa universitaria che dopo due anni ha lasciato il ruolo di direttrice della pianificazione delle politiche al dipartimento di stato americano (il suo superiore era Hillary Clinton) per seguire i figli. In questa lunga lettera- testimonianza spiega come sia difficile avere ruoli di responsabilità nella vita professionale senza venir meno ad un ruolo attivo come genitori. Un articolo che ha fatto scalpore (anche la rivista Internazionale di luglio ha dedicato la copertina a questo tema, come da immagine qui a sinistra) perché ha rimesso in discussione con semplicità e realismo alcuni degli assiomi dell'era delle working mothers. Tra i molti commenti quello che mi è piaciuto di più è quello di Cali Yost , esperta della tematica e fondatrice tra l'altro della società WorkLifeFit not Balance (vedi la sua intervista in questo post ) . Lei invita ad uscire dal dilemma – che per definizione non ha una soluzione se non tragica, lacerante – tra casa e lavoro. E riportandolo alla realtà italiana sono convinta che anche il termine "conciliazione" a volte suoni come "compromesso", come un'antica bilancia con i pesi messi da una parte e dall'altra e la mamma li' a fare l'equilibrista . Mi piace invece pensare – alla luce del dibattito americano – che si tratti di un equilibrio dinamico, un po' come le strutture di Alexander Calder , piene di colori dove i vari elementi si bilanciano tra di loro in maniera asimmetrica e variabile, trovando sempre nuovi assetti.
Perché anche da noi in Italia non c'è più un "dentro" e un "fuori" dal mercato del lavoro, non c'è più una sfera strettamente privata e a tenuta stagna rispetto a quella professionale e non c'è più un "tempo indeterminato" nel senso di lavoro fisso e costante, senza scadenze. Ecco, questa è la conciliazione per la quale lavoro, dove è possibile trovare delle soluzioni "sartoriali", su misura, a seconda delle proprie esigenze nelle diverse fasi della vita. Alcune "da prima linea" dove la carriera ha un ruolo preponderante, altre più caotiche dove la famiglia è la priorità e si decide quindi di scalare la marcia in senso professionale, magari solo per un pezzo di strada. Assumendosi le proprie scelte e responsabilità in maniera chiara rispetto alle esigenze dell'azienda o dei clienti. Che ne pensate? Si potrebbe trovare una forma più creativa e innovativa per parlare di conciliazione?
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