E' un dei temi che più mi appassiona, la relazione produttività e flessibilità. Perché in Italia l'intero sistema delle relazioni industriali e dell'organizzazione del lavoro – come più volte documentato in questo blog da fonti autorevoli (come San Pellegrino , Nestlè ma anche a livello istituzionale Banca d'Italia e Eurostat e autorevoli studi internazionali anche europei ) - è ancora basata sull'antica concezione taylorista del lavoro, che stabilisce procedure operative rigide e una modalità di lavoro a "catena di montaggio" con presidio della postazione. Nel frattempo il mondo è cambiato ma non tutti nel nostro Paese hanno ancora metabolizzato le novità. E così la semplice frase di Monti : "Ci vuole un cambio di mentalità delle parti sociali" ha scatenato un putiferio. Ma chi lavora nel campo della conciliazione dei tempi vita-lavoro è impegnato da tempo a definire un nuovo "patto" tra dipendente e datore di lavoro che sia basato sulla reciproca responsabilità e rispetto e sul raggiungimento degli obiettivi, al posto della mera presenza in ufficio. Su base qualitativa quindi e non quantitativa, perché la qualità paga.
E analizzando il trend in percentuale, si vede come Germania e Svezia siano i Paesi dove la produttività è tornata a crescere anche in periodi di crisi. Come mai? La "ricetta" è stata più volte illustrata: un patto tra le parti sociali basato sulla responsabilizzazione e i risultati.
Le tabelle sono estratte dal database di Eurosta, che potete trovare a questo indirizzo (con tutte le specifiche sulle modalità di calcolo)