20 miliardi di euro in cinque anni per le famiglie, con un congedo parentale di 14 mesi pagato al 65%. In molti Paesi europei si farebbero salti di gioia difronte ad una scelta politica di questo genere. Ma in Germania, dove è realmente successo, non ha prodotto i risultati sperati. In un'interessante articolo del Guardian vengono analizzati i dati sulla natalità – che è sì tra le più basse d'Europa (1,36 bambini per donna, in media), ma comunque superiore a quella italiana (1,23) – quelli sull'occupazione femminile e le possibili spiegazioni del fallimento dell'attuale politica demografica. Alfred Herrhausen, ex consigliere di Gerhard Schröder l'attribuisce alla mancanza di un collegamento tra mondo famigliare e mondo del lavoro: "is an agreement between the workplace and the family that would make the two much more compatible" . Perché se anche si creano posti all'asilo nido, o si sostengono economicamente i genitori che decidono di stare a casa fino ai 3 anni del pargolo e di non mandarlo al nido – norma molto contestata e tutt'ora in discussione al Bundestag – lo snodo cruciale è i "dopo" quando un genitore deve fare i conti con la propria identità professionale. E un mondo del lavoro che non è sempre disposto a ripensare l'organizzazione del lavoro, includendovi anche le necessità personali. Mal comune mezzo gaudio. Quest'esperienza più che disincentivare il nostro Paese a fare tali investimenti – non ne ha la capacità economica, tanto meno ora – può fornire spunti su quali strumenti a costo quasi zero possono essere davvero utili per il sostegno alle famiglie: la flessibilità dell'orario di lavoro, la contrattazione di secondo livello, il welfare aziendale. Grazie a Radiomamma per la segnalazione dell'articolo
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