Unico dato positivo dei dati sull’occupazione diffusi oggi – il tasso di disoccupazione trimestrale è salito al 13,6% (+0,8% su base annua) – è che nel primo trimestre 2014, dopo tre trimestri di crescita, diminuisce il numero di inattivi 15-64 anni (-0,6%, pari a -92.000 unità), un numero che è composto per due terzi da donne. Complice la crisi quindi, e forse più per necessità che per volere, le donne tornano a lavorare, tra mille difficoltà. Il dato è in linea con il Rapporto annuale Istat , che ha rivelato come nel 2013 siano aumentate (al 12,2% dal 9,4% nel 2008) le famiglie con donne breadwinner, ovvero quelle in cui la donna è l’unica ad essere occupata, facendo vacillare il modello tradizionale dell’uomo capo famiglia. Tra il 2008 e il 2013 le famiglie in cui l’unico occupato è una donna sono aumentate di 591mila unità (+34,5%), superando i 2,3 milioni. Del resto, è un meccanismo inevitabile: “le donne – si legge nel rapporto – sono ancora troppo spesso costrette a uscire dal mercato del lavoro in occasione della nascita dei figli". E in effetti un altro dato che emerge dal rapporto annuale è la quota di madri che non lavora più a due anni di distanza dalla nascita dei figli: una quota in aumento, al 22,3% nel 2012 dal 18,4% del 2005. La nascita di un figlio continua quindi ad essere un momento di “rottura professionale”, che però non è sostenibile sul medio-lungo termine e le donne quindi escono ed entrano dal mercato del lavoro, con discontinuità. E così se poco più della metà delle neo-madri in Italia continua a contare prevalentemente sull’aiuto dei nonni quando è al lavoro, cresce anche il ricorso al nido (35,2% contro il 27,4%) per quante lavorano, soprattutto se privato (la cui fruizione passa dal 13,9% del 2005 al 21,1% del 2012). Dinamiche contrastanti che vanno analizzate nella loro complessità e necessitano risposte articolate ed organiche. Da leggere: Download Istat annuario 2014 capitolo 3
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